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arton20581.jpgDopo lo sgombero del campo di Idomeni, l’entrata scenica delle ruspe nella foresta di fronte Hotel Hara dove ancora resistono le ultime famiglie di pachistani e nordafricani, l’Eko Camp era rimasto l’ultimo grande campo non ufficiale nel nord della Grecia.
Sorto quasi sei mesi fa, a 20 km dal confine macedone nei pressi della stazione di servizio Eko, ospitava soprattutto migranti curdi siriani e alcune minoranze irachene.
I dati di UNHCR al 9 di giugno parlavano di 1.950 persone con una percentuale intorno al 40% di minori, i dati forniti dal governo di una popolazione poco più di 1.800 migranti. Secondo MSF ieri, al momento dello sgombero, Eko contava oltre 50 donne incinta.
L’ultimo lembo di terra dove i migranti che si erano rifiutati di dirigersi verso i campi militari, piantate le tende, continuavano ad avere la possibilità di interagire col mondo esterno.
Nel campo, affiancandosi e sempre più spesso sostituendosi alle NGO più grandi, i volontari indipendenti hanno allestito in questi mesi una cucina da campo per sopperire alla mancanza di cibo, una scuola per insegnare ai bambini le lingue, due centri medici di prima urgenza, un centro femminile, Radio No Border, provveduto alla distribuzione del vestiario e delle canadesi.
A differenza di quanto avvenuto ad Idomeni, l’evacuazione forzata dei migranti non era stata annunciata, nessuna data fissata, solo il gioco al terrore psicologico delle continue ronde di agenti in borghese e delle volanti, che da settimane ormai fermavano le vetture che si dirigevano o si allontanavano dalla tendopoli.
Durante le prime ore della sera del 12 giugno, due pullman della polizia hanno parcheggiato nell’area di sosta, presente sulla carreggiata opposta della autostrada, dove si sono trattenuti decine di agenti in tenuta antisommossa.
Intorno alle 4 del mattino, due camioncini di MSF hanno lasciato il campo e una pattuglia di agenti interrogata su cosa stava avvenendo si è rifiutata di rispondere avvertendo solo alcuni attivisti di “abbandonare entro un’ora il campo per non avere conseguenze legali”.
Il nervosismo tra i migranti, alle prime luci del mattino riscaldava l’aria umida e impediva a chiunque di dormire. “Non ci hanno detto nulla. Non ci fanno neanche sapere se dobbiamo tenerci pronti ad essere portati via in chissà quale luogo sperduto della Grecia”, spiegava Mohammed ad alcuni attivisti ancora svegli.
Ci sono stato in uno di quei posti, un mese. Sono scappato. Il cibo è pessimo. Piuttosto di tornarci mi uccido qui o torno in Siria a morire nella mia terra”, continuava Abdallah.
Secondo quanto riferito dall’agenzia giornalistica ANA-MPA nell’operazione di sgombero di ieri sera sono stati coinvolti circa 300 agenti.
Alle 8:30 le vetture della polizia e gli agenti in borghese erano ormai ovunque nel campo ordinando a gran voce a tutti i richiedenti asilo di salire sui pullman.
Agli abbracci e i pianti si alternavano le urla degli agenti di non perder tempo e di non temere perché i migranti avrebbero avrebbero potuto recuperare i propri effetti eventualmente in un secondo tempo.
La totale assenza di funzionari UNHCR ha permesso, ancora una volta, alle forze di polizia di esautorare le leggi e intimidire quanti avevano intenzione di assistere allo sgombero e filmare eventuali abusi.
A decine di attivisti che hanno tentato di prestare il loro aiuto alle famiglie in difficoltà è stato impartito di allontanarsi immediatamente dalla zona minacciando l’arresto immediato.
Decine di volontari e freelancer sono stati fermati, costretti a distruggere le foto dello sgombero e trattenuti per oltre un’ora lungo il ciglio dell’autostrada. Condotti in centrale a bordo di due cellulari della polizia sono stati identificati e rilasciati solo due ore più tardi.
Intorno alle 17:30 dell’Eko Camp erano rimaste solo le tende a prendere acqua e il silenzio della calma dopo la tempesta. 32 pullman hanno trasportato 1.132 rifugiati presso il campo di Vasilika, a sud di Salonicco.
Stamattina sono iniziate le operazioni di sgombero degli altri accampamenti vicini al confine.
Dalla stazione di servizio BP e dall’Hotel Hara sono partiti 11 pullman con 630 persone a bordo dirette ai campi di Vagiohori e Oinofyta.
Postcard from Hara Camp di Macao

http://www.meltingpot.org/

http://www.meltingpot.org/ – Partendo da Bodrum, l’immagine di quest’estate dei siriani accalcati lungo il porto, dietro la moschea, è solo un ricordo che sfuma sulle spiagge di Bitez, dove dalla sabbia emergono indumenti sgualciti e scoloriti dal sole, scarpe e ciucciotti per bambini.
Kos è già in aria di alta stagione turistica e, ad eccezione di qualche adolescente pakistano che vende souvenir vicino l’ufficio controllo passaporti, il problema immigrazione per chi arriva da fuori sembra non appartenere più all’isola.
Le foto di fine autunno e di quest’inverno sembrano essere ormai solo storie da dimenticare.
La ragione di tale stato di calma apparente è da ricercare non solo nel decremento degli arrivi, dovuti alla politica di difesa del territorio e di lotta all’immigrazione sempre più aggressiva da parte della Turchia [1], quanto piuttosto a unadecentralizzazione geografica della strutture costruite per gestire la crisi.

Il centro di detenzione. Prima e dopo l’apertura dell’Hotspot

Solo nell’antico edificio in Akti Miaouli Street, come un pugno nello stomaco, le celle della stazione di polizia continuano a raccontare ai turisti curiosi storie di violenze e soprusi.

Un foglio plastificato all’entrata avverte che chiunque arrivi irregolarmente in Grecia dopo il 20 marzo sarà immediatamente arrestato e deportato in Turchia, coloro che richiederanno di poter accedere alle procedure di asilo saranno detenuti sino al momento in cui le autorità competenti non decideranno sulla legittimità o meno della domanda.
Dal secondo piano del chiostro interno, è possibile scorgere i volti stanchi e stremati dei migranti che da dietro le sbarre chiedono acqua e cibo per sopravvivere alla calura estiva. Come in uno zoo il turista col cappellino bianco e la crema protettiva, passa, scatta una fotografia e col gelato ancora tra le mani prosegue il suo tour tra i mercatini che vendono souvenir.
Adibito sino all’apertura dell’Hotspot a centro temporaneo di permanenza per i migranti, coloro che arrivavano, dopo essere stati registrati, venivano trattenuti coattivamente nelle celle.
Per chi avanzava la richiesta di poter accedere alle procedure di richiesta d’asilo, funzionari specializzati si occupavano, successivamente alla registrazione, di trasmettere le domande all’Ufficio di Rodi, quindi in un secondo momento trasportavano i richiedenti per avviare il procedimento.
Nelle piccole stanze erano costretti a vivere, separatamente, uomini e donne appartenenti a diverse etnie e gruppi religiosi. Qualora il nucleo familiare fosse stato composto anche da figli minorenni, per prassi, solo il padre veniva costretto in prigione facendo scegliere alla moglie con la prole se alloggiare in locali sostitutivi.
La sovrappopolazione carceraria, dovuta all’assenza di strutture adeguate, sino a soli pochi giorni fa, ha comportato problemi non solo di profondo stress psicologico per i detenuti, costretti in più di 50 (in taluni casi si è arrivati al numero di 65) a condividere uno spazio angusto e male illuminato, ma anche di salute causati dalle pessime condizioni igieniche in cui tutt’oggi versano le celle.
La carenza di cibo, per lo più fornito dalle associazioni di volontari indipendenti, ha comportato un indebolimento delle persone rendendole più vulnerabili a malattie e infezioni.
I detenuti sono stati costretti per settimane, mesi, a dormire uno su l’altro.
A seguito dell’apertura del “Centro di Detenzione e Registrazione” avvenuto il 14 di maggio, i migranti già registrati e in attesa di procedere con la richiesta di asilo sono stati trasferiti nella nuova struttura, abbandonando le celle della stazione di polizia dove tutt’ora, ancora oggi, vengono trattenuti i nuovi arrivi in attesa di essere registrati.

Strutture di accoglienza

Secondo i dati forniti, in merito alle presenze e alla capacità delle strutture di accoglienza dal Coordination Centre for the Managemente of the Refugee Crisis, in Kos al 27 di maggio sono 345 i migranti che vivono nell’isola a fronte dei 1.000 posti disponibili.
Proprio in ragione di tale capienza stimata dalle autorità, il 15 di maggio, 176 migranti detenuti in Chios [2] sono stati trasferiti nel nuovo centro di Kos.
Ad oggi, le strutture adibite ad ospitare i migranti sono l’Hotspot appena inaugurato che si trova nella parte centrale dell’isola, difficilmente raggiungibile se non in auto, e l’Hotel Zikas dove insieme ad alcuni appartamenti alloggiano i minori non accompagnati e i soggetti vulnerabili.
La distribuzione del cibo avviene in sinergia tra IOCCC/ Apostoli, Kos Refugees, Kos Solidarity e Mercy Corps.

Hotspot

Con l’apertura dell’Hotspot di Kos, dove al momento risiedono circa 250 persone (uomini, donne e bambini), salgono a 5 i centri presenti in territorio greco (Lesvos, Chios, Samos, Leros).
Le fonti ufficiali [3] garantiscono la presenza di 35 operatori Frontex nella struttura dell’isola cui, in primis, è stato affidato il compito di screening, in secondo luogo ad un team interno qualificato di intervenire in attività di debriefing, quindi ad operatori specializzati di eliminare o quanto meno alleviare le conseguenze emotive del viaggio affrontato dai migranti e degli abusi da loro subiti.
L’assistenza sanitaria, secondo quanto riferito dall’UNHCR, è affidata a due medici che lavorano durante il giorno ed uno operativo di notte.
Per quel che riguarda la consulenza legale, è stato affidato alle Nazioni Unite il compito di fornire informazioni circa i diritti, le obbligazioni e le procedure per richiedere l’asilo.
Il problema tuttavia grave che persiste all’interno dall’Hotspot, sin dal giorno della sua apertura, è l’assenza dell’Asylum Service Office che continua a costringere i richiedenti asilo a dover raggiungere Rodi per inoltrare le domande di protezione internazionale, dilatando i tempi a causa delle distanze e dei mezzi utilizzati per spostarsi tra le isole.
Sempre secondo quanto riferito dal portavoce delle Nazioni Unite, la libertà di movimento è garantita all’85% dei detenuti che, esenti da restrizioni, possono entrare ed uscire dall’Hotspot rispettando gli orari imposti dalle autorità. Fermo restando che secondo le regole che disciplinano l’immigrazione in Grecia, coloro che al momento sono detenuti nell’Hotspot, misura detentiva temporanea, possono essere obbligati a soggiornarvi per non più di 25 giorni. [4]
Ciò genera inevitabilmente il problema del post-Hotspot, per il quale senza denaro e senza avere la possibilità di movimento, se non all’interno della sola, i richiedenti asilo si trovano costretti a restare ancora all’interno della struttura o decidere di vivere per strada.
Molte delle notizie fornite dagli operatori delle agenzie ed NGO più grandi, che lavorano sull’isola, riferiscono di una gestione della crisi ottimale; in completo disaccordo, tuttavia, con quanto trapela con difficoltà dagli ambienti militari e da taluni immigrati.
Nei giorni passati infatti, per mezzo degli smartphone, sono state postate dagli immigrati sui social network immagini che denunciano condizioni di estremo disagio all’interno dell’Hotspot, in cui gli stessi lamentano la carenza di assistenza sanitaria e legale, la denutrizione, la pessima condizione di salute della maggior parte dei bambini.
Fermo restando che per accedere all’Hotpsot e verificare tali notizie è necessario essere abilitati, cosa che richiede tempo ed è spesso impossibile, i funzionari dell’UNHCR interrogati in merito hanno garantito che tale situazione era probabilmente dovuta alla disorganizzazione iniziale dell’apertura del nuovo centro e all’arrivo di nuove unità dall’isola di Chios. Gli stessi hanno garantito che la situazione dell’Hotspot di Kos è la migliore rispetto agli altri centri ellenici.

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Minori non accompagnati

I minori non accompagnati che arrivano sull’isola risiedono negli arrangementsgestiti da UNHCR e Praxis.
Nell’Hotel Zikas sovvenzionato dall’UNHCR, in cui Save the Children e ARSISgarantiscono una presenza full time di due psicologi e un social worker, risiedono al momento 62 minori per lo più di origine pakistana e afgana,
Altre 25 vulnerable persons, famiglie con bambini molto piccoli e donne incinta sole, sono state trasferite in un primo momento dagli alloggi presso l’Hotspot, successivamente ricondotte all’Hotel dove al momento alloggiano.
32 minorenni risiedono in appartamenti fuori città gestiti dall’agenzia delle Nazioni Unite insieme a Praxis. Mercy Corps infine gestisce altri appartamenti in cui vengono alloggiano soggetti vulnerabili.
Come avviene nei campi militari della mainland, alcuni degli adolescenti di cui sopra lavorano in nero e sottopagati nelle fattorie dell’isola.
Taluni di loro, in passato, si sono allontanati la mattina dagli alloggi senza tuttavia farne più ritorno.
Il denaro raccolto serve infatti, il più delle volte, per ottenere dagli smugglerspassaporti e carte d’identità false per allontanarsi dall’isola e raggiungere l’Europa.

Carenze strutturali, asimmetrie informative, abusi di potere. Speranze.

Le carenze strutturali, è evidente, sono state e continuano ad essere uno dei problemi maggiori nella gestione della crisi in Grecia causando continue violazioni delle fondamentali norme sulla tutela della dignità dell’essere umano.
A cominciare dalle celle in cui venivano rinchiusi i migranti, ambienti al limite della possibile sopravvivenza, passando per la struttura militare appena inaugurata i cui disservizi, almeno nei primi giorni della sua apertura, hanno reso la permanenza imposta estremamente disagevole, terminando con il problema dell’attualeassenza di un Asylum Service Office all’interno dell’Hotspot.
Ciò che è inoltre importante sottolineare è il sentimento di frustrazione che si prova nell’ascoltare i racconti dei volontari che, al pari di Idomeni, narrano storie di ordinario abuso di potere da parte degli agenti della stazione di polizia. Cibo e acqua destinati ai richiedenti asilo, consegnato alle guardie e da loro consumato.
All’Interno della centro di detenzione è stato pressoché impossibile, inoltre, avere informazioni sull’identità e il motivo della reclusione dei carcerati. È assolutamente usuale ormai essere aggrediti verbalmente dagli agenti per il semplice e solo fatto di chiedere informazioni.
Persino scattare foto all’Hotspot dall’esterno diventa un rischio per la propria incolumità.
Nel Centro di Detenzione e Registrazione è permessa l’entrata solo a coloro che vengono autorizzati. Dalle agenzia delle Nazioni Unite ci si aspetta, quindi, una sempre maggiore collaborazione e spirito di iniziativa nonché di denuncia delle violazioni che, in territorio ellenico, ovunque, continuano ad essere perpetrate sin dall’inizio della crisi. [5]
Perché, seppur nascosti all’opinione pubblica, i segni della fame e della disperazione continuano a sfregiare i corpi e i visi dei migranti, i cattivi sogni a riempire le notti degli adolescenti, le urla dei bambini a rimbombare sorde tra i pannelli di metallo dei prefabbricati del centro di detenzione.

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NOTE:

[1Sono ormai quotidiani gli omicidi dovuti allo scellerato uso della forza con cui i militari turchi difendono i 911 km di confine, lungo il quale stanno ormai ultimando la costruzione del muro che impedirà ai profughi siriani di fuggire dalle zone di guerra. La stessa violenza viene utilizzata dalle forze di mare che, a quanto riportato dai migranti che cercavano di superare le acque territoriali turche, sono arrivate numerose volte a minacciare e quindi tentare lo speronamento delle piccole imbarcazioni utilizzate per arrivare sulle isole.

[2Al 20 maggio la popolazione immigrata di Chios era di 2.368 persone a fronte dei soli 1.100 posti disponibili.

[4Art. 14 della Legge n. 4375/ 2016.

[5L’importanza strategica del ruolo dell’UNHCR viene sottolineata non solo nella Convenzione di Ginevra, ma anche in numerose Direttive, essendo l’Agenzia l’unica a cui è stato affidato il compito di proteggere i rifugiati e di denunciare le eventuali violazioni.

Tra gli altri, come accennato, vanno ricordati: l’Art. 29 della Direttiva 2013/32/CE recante – Ruolo dell’UNHCR. “Gli Stati membri consentono che l’UNHCR: a) abbia accesso ai richiedenti, compresi quelli trattenuti e quelli che si trovano alla frontiera e nelle zone di transito; b) abbia accesso, previo consenso del richiedente, alle informazioni sulle singole domande di protezione internazionale, sullo svolgimento della procedura e sulle decisioni prese; c) nell’esercizio della funzione di controllo conferitagli a norma dell’articolo 35 della convenzione di Ginevra, presenti pareri a qualsiasi autorità competente e in qualsiasi fase della procedura sulle singole domande di protezione internazionale.”

Art. 35 della Convenzione di Ginevra recante – Cooperazione delle autorità nazionali con le Nazioni Unite. “1. Gli Stati Contraenti s’impegnano a cooperare con l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati … e a facilitare in particolare il suo compito di sorveglianza sull’applicazione delle disposizioni della presente Convenzione. 2. Allo scopo di permettere all’Alto Commissario o a qualsiasi altra istituzione delle Nazioni Unite che dovesse succedergli di presentare rapporti agli organi competenti delle Nazioni Unite, gli Stati Contraenti s’impegnano a fornire loro, nella forma appropriata, le informazioni e le indicazioni statistiche richieste circa: a) lo statuto dei rifugiati…”